8 Aprile 2021 - 10:30

L’Attacco dei Giganti: recensione dell’ultimo capitolo

L'Attacco dei Giganti

L’Attacco dei Giganti si conclude con il capitolo 139. L’opera di Isayama parla dritto al cuore ponendo interrogativi a cui non c’è risposta

Con il capitolo 139 si conclude L’Attacco dei Giganti. Per un’opera del genere le parole si sprecano. Si potrebbero scrivere saggi e saggi a riguardo e comunque non si riuscirebbero a coprire tutti i suoi aspetti. È un’opera esistenziale. Parla alla vita della vita stessa toccando temi delicati senza esitazione ma con il rispetto che meritano. L’opera è nella sua fase conclusiva anche per quanto riguarda la trasposizione animata disponibile su Netflix e Prime Video, della quale uscirà nel prossimo futuro una seconda (ed ultima) parte della quarta stagione.

L’opera insegna il valore della libertà. Travalica i banali concetti di amore e odio e di bene e male e traccia un confine netto che divide l’intrattenimento puro e semplice dall’arte immortale. Quanto a lungo può spingersi l’animo umano per lottare in ciò in cui crede? Quanto peso può avere l’amore pur sapendo di essere nel torto? Fino a che punto è importante combattere per i propri ideali accantonando tutto il resto? A queste domande non esiste una risposta, sarebbe un po’ come voler rispondere al senso della vita stessa.

L’ultimo capitolo de L’Attacco dei Giganti è devastante: con una delicatezza unica ma con forza dirompente mette a nudo le fragilità dei protagonisti. Armin, che fino a questo momento è rimasto un po’ in ombra, brilla in tutto il suo spiccato acume e la sua enorme sensibilità. Eren piange, grida, si pente e poi si rimangia le parole. L’animo del protagonista, tormentato praticamente dall’inizio dell’opera, vede in questo capitolo l’apoteosi del suo turbamento. Mikasa, follemente innamorata, riuscirà a trovare la pace?

Gli elogi si sprecano per l’opera del maestro (appena 34enne) Isayama. L’Attacco dei Giganti farà storia, ma ciò che resta da fare adesso è appoggiarsi ad un albero, prendere fiato e guardarsi alle spalle. Ne valeva la pena?

Assolutamente sì